Continuano gli esperimenti per verificare la possibilità di abitare il pianeta Marte: in questo caso si tratta della produzione di ossigeno, già testata nell’Aprile dello scorso anno attraverso il progetto “In-Situ” Moxie ed il Perseverance, ed ora all’Università di Lisbona si prova a raggiungere risultati ancora migliori attraverso il plasma. Scopriamo i dettagli.
Continuano le indagini riguardo all’abitabilità del “Pianeta Rosso”, nell’ottica di una possibile colonizzazione del genere umano nello spazio “vicino” alla nostra Terra. In questo caso, si tratta dello studio sperimentale diretto e coordinato dal ricercatore dell’Università di Lisbona Vasco Guerra e sta dimostrando la validità dell’uso del plasma nella produzione dell’ossigeno sul pianeta Marte.
A quanto scoperto e verificato fino ad ora nel mondo scientifico ed astrofisico, sappiamo che la produzione di ossigeno su Marte presenta ancora numerose criticità. Sappiamo anche che l’ossigeno è essenziale non soltanto per la sopravvivenza umana, ma anche per la propellenza necessaria a far volare i razzi spaziali da utilizzare per dirigersi verso Marte, per tornare da Marte ed anche per muoversi su Marte stesso.
Il recente esperimento “In Situ” denominato Moxie dello scorso anno ha dimostrato di poter produrre 10 grammi di ossigeno all’ora attraverso il processo dell’elettrolisi dell’anidride carbonica dell’atmosfera di Marte alla temperatura di 800 °C. Ed ora lo sfruttamento adeguato del plasma potrebbe condurre alla capacità di produrne in quantità assai maggiore.
Uno degli scogli più significativi nella produzione dell’ossigeno risulta dalla difficoltà di separare le sue molecole da quelle di anidride carbonica e monossido di carbonio in alcune miscele di gas presenti nell’atmosfera marziana.
Ciò che è stato scoperto dalla nuova ricerca del Dottor Guerra è che sia possibile utilizzare gli elettroni del plasma proprio per neutralizzare le molecole di anidride carbonica o, ina altre parole, per separarle dall’ossigeno, fungendo un po’ come dei dardi in grado di centrare i “palloncini” delle molecole di anidride carbonica e di farli scoppiare, decomponendoli e trasferendo energia.
Lo studio è tutt’ora in fase di sviluppo sul pianeta Terra e, prima di poter essere sperimentato anche sul pianeta Rosso, dovrà superare ancora numerose fasi di test volte a confermarne l’assoluta efficacia.
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