La prima estensione di Chrome per bloccare qualsiasi sito web che ti rende produttivo. In un mondo che ha switchato praticamente dal 2010 con gli smartphone di nuove generazione e le ormai infinite applicazioni che si possono scaricare, si può perfino tentare di lavorare meno e guadagnare lo stesso, se non di più.
Che si tratti di inviare un’e-mail, controllare LinkedIn o rispolverare una lingua straniera, considera che non c’è più, fuori di qui, geblokkeerd, un vocabolo olandese che sta a significare “bloccato”.
“Il blocco della produttività mi aiuta a concentrarmi su ciò che conta veramente. Entrare in accesi dibattiti su più forum di anime contemporaneamente”. E’ solo una delle recensioni di un utente sul mondo dei Productivity Blocker. “Il blocco della produttività mi ha impedito di pagare le tasse. Spero sinceramente che anche l’IRS lo abbia abilitato”. Altro esempio di commento che spazza via le nubi sui Productivity Blocker. “Sono su un piano più alto, non più incatenato dai meschini obblighi dell’umanità. Sono salito (vorrei che funzionasse su Safari”. Si parte da qui, la prima estensione di Chrome non fa parte dell’ecosistema di Apple, tanto per capirci.
L’applicazione in questione riesce a bloccare oltre ottanta siti e applicazioni: che si chiamino Google Drive, LinkedIn, Dropbox, Gmail o Duolingo (senza elencarne molti altri), fa esattamente lo stesso. Googlando e trovando il sito ufficiale, è possibile capire di cosa stiamo parlando e perfino richiedere il blocco di numerosi altri siti. Come? Con un-email: gli ideatori dell’estensione cercheranno di accontentare il lavoratore che non vuole più lavorare.
L’applicazione, per il momento, è inserita all’interno della categoria “divertimento” e non “produttività”. Al contrario le estensioni che permettono di rimanere concentrati e per aumentare la produttività hanno migliaia di download, perché è molto più semplice distrarsi che rimanere concentrati.
Per il momento questo nuovo “lavoro” è un azzardo, vuoi perché l’ultimo aggiornamento è stato rilasciato a marzo, vuoi per la giovane età dell’app e quella diffidenza figlia di fake news e applicazioni dalle false speranze. Vuoi soprattutto perché oggigiorno chi sarebbe veramente pronto a lasciare qualcosa di sicuro, come un lavoro? E ancora: perché l’app è inserita in una categoria chiamata divertimento, che non fa rima con produttività.
Anche il cosiddetto publisher non si è identificato come commerciante. “Per i consumatori nell’Unione Europea – si legge sull’app – tieni presente che i diritti del consumatore potrebbero non essere applicabili ai contratti tra te e questo publisher“.
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