La polizia postale e la procura di Milano hanno dato vita ad un’operazione chiamata “Rear Window”, dal noto film di Alfred Hitchcock “La finestra sul cortile”. Le forze dell’ordine hanno sgominato due organizzazioni criminali che spiavano le persone in maniera alquanto articolata: si insinuavano nelle telecamere di videosorveglianza private di abitazioni, uffici, spogliatoi, palestre, piscine e alberghi, per spiare i cittadini e rivedere i filmati online.
L’obiettivo finale era infatti quello di catturare immagini “compromettenti” delle vittime, durante ad esempio rapporti sessuali o atti di autoerotismo, di modo poi da chiedere un somma in denaro, in cambio della cancellazione del filmato o della mancata divulgazione dello stesso, o peggio ancora, dal divulgare lo stesso materiale online.
Le indagini sono scattate nel 2019 e hanno riguardato diverse città italiane, ma soprattutto undici persone, ritenuti membri dello stesso gruppo criminale. Le vittime sarebbero invece migliaia e al momento i reati contestati sono quelli di accesso abusivo a sistemi informatici (in alcuni casi con associazione a delinquere). Il tutto è partito dalla segnalazione da parte della polizia postale neozelandese su un soggetto italiano che scambiava immagini pedopornografiche, e analizzando il suo telefono si è scoperto un giro di foto e filmati presi da telecamere private. In seguito è giunta anche una segnalazione di una persona che aveva capito che i filmati di una telecamere di una piscina da lui frequentata, erano finiti sul web.
All’interno del gruppo criminale vi erano degli esperti di informatica che avevano il compito di individuare gli impianti di videosorveglianza da hackerare o da violare, e una volta scoperti, altri membri della gang andavano sul campo per verificare i luoghi e le riprese migliori. Il materiale registrato in maniera illegale veniva poi rivenduto online, e a volte anche le credenziali d’accesso delle telecamere di modo che il compratore finale potesse fare da se. Inizialmente come mezzo per la vendita era stato utilizzato il social network russo Vkontakte, poi erano passati a Telegram dove avevano un canale da ben 10mila utenti dove pubblicizzavano il materiale. In cambio di una somma di 20 euro si poteva accedere ad un altro canale, composto da circa 2mila persone, dove venivano messi a disposizione i filmati integrali. Gli investigatori temono che si tratti della punta di un iceberg, e che sotto vi siano migliaia di personaggi poco raccomandabili dediti a questa attività vergognosa.
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