La sottile linea rossa fra l’importanza che riveste la tecnologia per il popolo italiano. E la sua schiavitù. Arrivano dati contrastanti, a seconda di come vengono letti, dall’undicesimo tradizionale report annuale redatto dal Politecnico di Milano.
L’Internet of Things, l’internet delle cose o più semplicemente IoT, un neologismo utilizzato nel mondo delle telecomunicazioni riferito all’estensione di internet al mondo degli oggetti e dei luoghi concreti, introdotto a fine secolo dall’ingegnere Kevin Ashton, co-fondatore di Auto-ID Center, è in forte espansione.
Fin qui tutto bene, visto che in Italia abbiamo raggiunto un picco di dispositivi connessi: quasi due per ogni persona. Ma se ci fermiamo a riflettere, abbiamo bisogno davvero di tutta questa tecnologia. A quanto pare sì, d’altronde gli italiani per antonomasia sono un popolo di navigatori.
E’ la “sentenza” del Politecnico di Milano, che conferma il trend degli ultimi anni. A fine 2021 si è arrivati a 37 milioni di connessioni IoT. Gli smartphone, ovviamente, la fanno da padrone con un significativo +9% rispetto all’anno prima.
Sono diventate 74 milioni le connessioni abilitate da altre tecnologie di comunicazione (+25%). Tra queste, una spinta significativa arriva dalle reti LPWA (Low Power Wide Area) che raddoppiano in un solo anno, passando da 1 a 2 milioni di connessioni.
Ma la spinta maggiore arriva da device che non sono cellulari. E qui ci si ferma a riflettere: è un bene che il boom delle applicazioni che utilizzano tecnologie di comunicazione non cellulari, 3,9 miliardi di euro, è arrivato al +30%? E ancora.
La crescita diventa più contenuta per le applicazioni che sfruttano la connettività cellulare. Ma quel +6% a 3,4 miliardi di euro è davvero un dato positivo, oppure si avvicina alla soglia della schiavitù tecnologica.
A sentire Giulio Salvadori, evidentemente sì. “Il mercato dell’Internet of Things si trova in una fase di grande sviluppo – sentenzia il direttore dell’Osservatorio IoT – sia dal punto di vista della crescita economica che della consapevolezza dei vari attori”.
Aziende, Pubbliche Amministrazioni ma soprattutto utenti sono sempre più interessati a gestire da remoto asset e dispositivi smart, attivandone servizi e funzionalità avanzate. La pandemia da Coronavirus, soprattutto il lockdown, ha fatto esplodere il mercato, ormai è un abitudine lavorare da remoto, controllare la casa da remoto, dialogare con le persone da remoto.
“Nei prossimi anni siamo chiamati ad una sfida che determinerà il futuro delle prossime generazioni”. Angela Tumino allarga gli orizzonti: “La transizione ecologica potrà essere supportata da processi più efficienti, strumenti smart che permettano di ridurre i consumi di energia e di prevedere quando un macchinario ha bisogno di manutenzione, prima che questo si guasti – sottolinea il direttore dell’Osservatorio Internet of Things – su tutti questi fronti l’Internet of Things può svolgere un ruolo importante e la riprova di questo sta nei quasi 30 miliardi di euro contenuti nel PNRR che riguarderanno progetti basati su tecnologie IoT“.
Il progresso è certamente un bene, ma stringi, stringi, abbiamo veramente bisogno di avere quasi due dispositivi a persona? Ai posteri l’ardua sentenza.
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