Sperimentato con successo un nuovo approccio per il controllo del plasma all’interno di un reattore di fusione nucleare, basato sull’intelligenza artificiale: ecco i dettagli del progetto realizzato in collaborazione tra il Politecnico Federale di Losanna (EPFL) e DeepMind di Google.
Nelle operazioni di fusione nucleare, uno dei momenti più complessi per la riuscita degli eventi di fusione e l’utilizzo dell’energia da essi prodotta riguarda il mantenimento della stabilità del cosiddetto “quarto stato della materia”, ossia il plasma, un gas neutro ionizzato formato da ioni ed elettroni.
Nella fusione nucleare, infatti, un plasma di idrogeno viene riscaldato alla temperatura di oltre cento milioni di gradi, giungendo alla quale i nuclei degli atomi di idrogeno vincono la repulsione elettrica tra cariche dello stesso segno e si uniscono a formare un nucleo di elio, più pesante dell’idrogeno.
In questo processo, che è una sorta di riproduzione in miniatura di ciò che avviene nel Sole, vengono rilasciate gigantesche quantità di energia. Ma non sono così semplici da gestire, da controllare e da immagazzinare.
L’instabilità del plasma e la proposta di soluzione algoritmica di DeepMind
Per poter utilizzare l’energia prodotta dalla fusione nucleare, occorre confinare il plasma in una camera di combustione – detta tokamak – e mantenerlo in sospensione senza che entri in contatto con le sue pareti, altrimenti si raffredderebbe istantaneamente, deteriorandosi.
Ora: essendo composto da particelle cariche, il plasma è un ottimo conduttore di elettricità e dunque anche estremamente sensibile ai campi elettromagnetici. Ed è proprio a questo punto che entra in gioco l’intelligenza artificiale sviluppata dalla britannica DeepMind di Google in collaborazione con l’EPFL, il Politecnico di Losanna in Svizzera.
Tramite un algoritmo di auto apprendimento, infatti, risulterebbe possibile controllare le bobine magnetiche del tokamak per produrre una varietà di molteplici configurazioni del plasma ed anche consentire il controllo contemporaneo di due plasma separati, giungendo così ad una maggior stabilità durante il processo di fusione.
I risultati dei primi esperimenti e le previsioni dello studio a medio e lungo termine
I primi esperimenti effettuati sono stati senz’altro promettenti, arrivando a gestire un’energia di 59 megajoule (il record massimo precedente era stato pari a 21,7 megajoule) durante un impulso di plasma durato ben cinque secondi.
“Nonostante ciò – spiega Federico Felici, co-autore dello studio – serve ancora molto studio per determinare il valore di ogni variabile”. Il che porta a prevedere che, anche in caso di risoluzione di ogni criticità ancora da verificare, una fusione nucleare stabile e sicura potrà essere disponibile solo in un futuro non ancora facilmente definibile.
In questo senso, considerando la salute del nostro Pianeta in particolare in relazione alle emissioni di CO2, la priorità di studio e di ricerca da riservare alle energie rinnovabili trova quindi numerosi consensi trasversali rispetto al nucleare.
Anche se, come ha continuato Felici, è plausibile ritenere che la fusione potrà avere “nella seconda metà del XXI secolo il potenziale di garantire una fornitura di base di elettricità, permettendo, a lungo termine, di chiudere tutte le centrali fossili e a fissione nucleare”.