Nelle scorse ore è arrivata una vera e propria batosta per Tim, la compagnia telefonica tutta italiana, dopo che il tribunale di Milano ha emesso sentenza contro la stessa, condannandola a pagare due anni di bollette: vi spieghiamo tutto nel dettaglio.
Come si legge sul sito IlPost.it, la Tim sarà costretta a rimborsare i clienti relativamente alle annate 2017 e 2018, ovvero, coloro che avevano pagato la bolletta della compagnia telefonica ogni 28 giorni, e non ogni 30, come invece era stato stabilito per quanto riguarda le tariffe mensili.
TIM DOVRA’ RIMBORSARE I CLIENTI PER GLI ANNI 2017 E 2018: ECCO PERCHE’
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La sentenza emessa negli scorsi giorni dal giudice meneghino ha confermato il provvedimento che era già stato emanato in merito nel 2018, ma ha esteso il lasso di tempo su cui i clienti Tim hanno diritto al rimborso, ovvero, non più da giugno 2017 ad aprile 2018, ma da aprile 2017 allo stesso mese dell’anno successivo, di conseguenza, un vero e proprio anno completo. Per ottenere il rimborso bisognerà semplicemente fare specifica richiesta alla Tim, e attendere poi di riavere indietro i soldi. La causa contro Tim era stata iniziata dal Movimento consumatori, associazione che si occupa appunto di tutelare i diritti dei consumatori, e nel 2018, tre anni fa, il tribunale aveva dato ragione alla stessa, spiegando che la compagnia telefonica tricolore avrebbe dovuto informare i consumatori interessati e nel contempo accogliere le domande di rimborso entro 30 giorni dalla ricezione delle richieste, decisione che è stata confermata anche dalla sentenza emessa negli scorsi giorni, precisamente mercoledì 20 ottobre 2021.
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Durante il mese di luglio 2021 sempre il tribunale di Milano aveva deciso allo stesso modo ma nei confronti di un’altra compagnia telefonica, leggasi WindTre, alla luce del fatto che anche lo stesso gestore mobile e fisso, praticava la fatturazione ogni 28 giorni, e non ogni mese, rendendo quindi più brevi le bollette, e obbligando i clienti a pagare di più. In tal mondo, infatti, come ricorda Il Post, le compagnie telefoniche potevano incassare ben 13 mensilità rispetto alle 12, nonostante l’offerta proposta fosse specificatamente mensile; i ricavi ovviamente ne beneficiavano e risultavano essere più alti dell’8.6 per cento rispetto a quelli che si sarebbero prodotti con una fatturazione standard, mensile. Lo “scandalo” era scoppiato di preciso a marzo del 2017, dopo che praticamente tutte le compagnie telefoniche avevano adottato questa pratica dei 28 giorni, e l’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, aveva chiesto alle stesse di tornare alla fatturazione mensile.