Il giro d’affari è mostruoso, anche se in Europa per il momento la situazione appare sotto controllo. Ancora per poco.
Un giro d’affari mostruoso capace di smuovere delle cifre impressionanti. Attorno alla geolocalizzazione dei nostri smartphone ed alla cronologia delle posizioni ballano qualcosa come dodici miliardi di dollari. Ma cosa c’è dietro ad un fenomeno in costante ascesa che coinvolge i dati personali di più di due miliardi di persone?
Stando ad una ricerca condotta da The Markup, organizzazione americana senza fini di lucro fondata nel 2018 e con sede a New York, almeno 47 aziende parteciperebbero alla compravendita dei dati personali. La pratica non sarebbe affatto illegale, dal momento che sfrutta alcune falle presenti nelle normative in vigore in vari Paesi. In questo modo a livello commerciale i benefici sarebbero enormi, dal momento che monitorare con certezza la posizione degli utenti consente di approntare ad hoc le strategie di marketing più idonee.
A cosa serve esattamente la geolocalizzazione: ecco perché ballano cifre mostruose
Quello della geolocalizzazione è un mercato ancora in via di definizione, basato su interazioni ancora non sempre chiare. Abbiamo illustrato il caso di monitoraggio per favorire le strategie di marketing, in realtà i campi di applicazione possono essere i più disparati. Ad esempio può esser utile alle agenzie federali degli Stati Uniti per tenere a bada i flussi migratori all’interno del paese, ecco perché la faccenda assume contorni più delicati e sfumati di quanto non si possa pensare.
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É praticamente impossibile conoscere tutti i modi in cui i movimenti vengono tracciati e scambiati, tuttavia le aziende coinvolte sottolineano come tutto si svolga nel massimo rispetto della privacy. Restano però dei problemi soprattutto per ciò che concerne il tracciamento geografico, dato che la maggior parte degli utenti tendono a dare il consenso alle app con troppa leggerezza. Bisogna però rimarcare, a loro parziale discolpa, la quasi totale assenza di trasparenza e la maniera approssimativa in cui le app richiedono l’accesso alla nostra posizione.
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Per motivi di utilità Google Maps, solo per menzionarne una, riceve quotidianamente il nostro assenso, ma come questa ci sono altre centinaia di app libere di “giocare” con i nostri dati. Desta perplessità però il fatto che non sappiamo effettivamente come poi vengono utilizzati e magari rivenduti ad aziende terze. Al momento in Europa la situazione appare ancora relativamente sotto controllo, incrociamo le dita per il futuro.