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Libertà su Internet diminuisce ancora nel 2021: la peggiore è la Cina, ecco i dati inquietanti

Libertà, questa parola sconosciuta. Almeno da undici anni a questa parte, online, è così. Come rivela Freedom House, un’organizzazione internazionale non governativa che conduce attività di ricerca e sensibilizzazione su democrazia, diritti umani. E libertà politiche, appunto.

Diritti umani in primo piano (Adobe Stock)

Da Washington, sede di Freedom House, l’eco dell’allarme si diffonde nuovamente in tutto il mondo. Soprattutto per la questione Cina, per distacco la nazione nella quale la parola libertà è veramente sconosciuta, al massimo tradotto in un altro modo.

L’allarme reiterato sta tutto nel tradizionale report annuale di Freedom House, denominato Freedom in the world, che misura il grado di libertà civili e diritti politici garantiti in ciascun Paese, quest’anno basato su 70 nazioni, valutate su 21 diversi indicatori come gli ostacoli all’accesso alla rete, limiti nei contenuti che è possibile pubblicare, la violazione dei diritti degli utenti.

Libertà limitata da Big Tech e Covid-19. “Con poche eccezioni positive”

Covid Zone (Adobe Stock)

Il report, in particolare, evidenzia che nell’ultimo anno in 48 nazioni su 70 analizzate, ossia l’88%, sono state inserite nuove norme per le aziende tecnologiche in materia di contenuti, dati e concorrenza. “Con poche eccezioni positive”.

Freedom House spiega quei numeri: “La spinta a regolamentare l’industria tecnologica che deriva in alcuni casi da problemi reali come le molestie online e le pratiche manipolative del mercato viene sfruttata per soffocare la libertà di espressione e ottenere un maggiore accesso ai dati privati. Le vittime sono gli utenti”.

Nello specifico i dati più preoccupanti riguardano in primis gli Stati Uniti, la terra delle opportunità per antonomasia, ma la celeberrima libertà yankee è calata per il quinto anno di fila. Male, malissimo, Myanmar, Bielorussia e Uganda, dove le forze statali hanno represso le crisi elettorali e costituzionali. Il calo del punteggio di 14 punti del Myanmar è il più grande registrato dall’inizio del progetto Freedom on the Net.

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Il nocciolo della questione, secondo Freedom House, sta tutto nelle Big Tech, un muro di gomma per i governi per quanto riguarda i diritti degli utenti. Con poche eccezioni positive, fra cui l’Italia, sostanzialmente stabile, la spinta a regolamentare l’industria tecnologica, che deriva in alcuni casi da problemi reali come le molestie online e le pratiche manipolatorie del mercato, viene sfruttata per sottomettere la libera espressione e ottenere un maggiore accesso ai dati privati. Si sospetta che le autorità di almeno 45 paesi ottengano spyware sofisticati o tecnologia di estrazione dati da fornitori privati.

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La Cina è per il settimo anno consecutivo il peggior ambiente per la libertà di Internet. Sicuramente non una sorpresa, ma Pechino con le sue pene detentive draconiane per dissenso online, segnalazioni indipendenti e banali comunicazioni quotidiane, sta facendo di tutto per cancellare la parola libertà dal suo vocabolario. La pandemia da Coronavirus, chiaramente, influisce sulla comunicazione, e quindi sull’amata libertà, rimanendo uno degli argomenti più pesantemente censurati.

Antonino Gallo

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