Il business delle pulizie spaziali è in ascesa inarrestabile. Ecco perché il nuovo affare fa gola a moltissimi.
Un nuovo fenomeno con effetti purtroppo devastanti si sta diffondendo negli ultimi tempi a macchia d’olio. Ecco perché le grandi multinazionali, oltre ai possibili pericoli, sembrano aver fiutato un affare di grande entità. Stiamo parlando dei detriti spaziali, abbandonati a galleggiare con disinvoltura nelle nostre orbite. Se consideriamo che basta il più piccolo di essi a distruggere un intero satellite, beh, allora è facile intuire come il business delle “pulizie spaziali” si configura come una nuova frontiera di denaro.
Dunque tenere d’occhio i rifiuti orbitanti potrebbe far gola a molti, dato che l’impatto sull’ambiente ha un suo peso economico e il monitoraggio preventivo potrebbe rivelarsi per alcuni altamente remunerativo. In palio non c’è solo la salute dell’universo: mano a mano che gli oggetti in orbita si moltiplicano, cresce a dismisura il rischio di incappare in danni irrevocabili, collisioni, esplosioni di carburante, avarie ai serbatoi pressurizzati e chi più ne ha più ne metta.
Le pulizie spaziali sono la nuova frontiera del business: ecco a chi fanno davvero comodo
Non sono solo i detriti abbandonati a seminare distruzione, ma anche ad esempio le radiazioni solari ed i lanci spaziali in continuo aumento. Secondo l’azienda della Virginia BryceTech sino a venti anni fa si contavano 771 satelliti in orbita intorno alla Terra: oggi sono diventati circa 4.500, un numero spropositato destinato a crescere nei prossimi anni. Dunque è necessario intervenire, e naturalmente un’attività completa di risanamento procurerà a chi riuscirà ad accaparrarsi la licenza delle cifre davvero smodate.
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I radar che sorvegliano la situazione sono per la maggior parte gestiti da aziende statunitensi, da qualche anno però anche l’Unione europea ha deciso di dare il suo contributo in materia grazie alla cooperazione di sette Stati membri che hanno siglato un accordo di sorveglianza e tracciamento spaziale. Per quanto concerne il settore privato alcune aziende della Silicon Valley (la “LeoLab”) stanno intensificando i propri sforzi con l’apertura di alcune strutture in Costa Rica, Alaska, Nuova Zelanda e Texas, che possono identificare con precisione i famigerati frammenti e bloccarne poi eventualmente l’azione nociva.
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Un’alternativa valida ai radar potrebbero essere i laser e i telescopi: l’azienda canadese Northstar Earth And Space sta impegnando fondi per 25 milioni di euro per raggiungere l’obiettivo, intanto l’ESA (Agenzia spaziale europea) ha firmato un contratto da 86 milioni di euro con un team guidato dalla start-up svizzera ClearSpace per iniziare a ripulire lo spazio dai detriti a partire dal 2025. Vediamo come procederà.