Un altro giro di vite. La Cina continua a mettersi di traverso sulla corsa delle criptovalute, bitcoin nello specifico. Dopo le pesanti restrizioni di giugno, culminate con la chiusura del 90% delle operazioni di mining di bitcoin nella provincia dello Sichuan, Pechino non si ferma. Tutt’altro.
Accelera il governo cinese, intensificando la caccia ai minatori di criptovaluta che hanno cercato di nascondersi fra gli pseudo ricercatori di dati e strutture di archiviazione pur di continuare nella loro attività, per il governo illegale.
Le ispezioni si sono intensificate questo mese in diverse province cinesi, rivela Bloomberg, prendendo di mira attività minerarie illegali in college, istituti di ricerca e data center, come confermato da persone che hanno richiesto di rimanere nell’anonimato a causa della delicatezza della questione.
Il nuovo ciclo di controlli ha un piano e un obiettivo ben definitivo: vuole deprimere la quantità di mining di criptovalute operanti in Cina, che per anni è stata l’attrice dominante e fino ad aprile aveva una quota del 46% del tasso di hash globale, una misura della potenza di calcolo utilizzata nel settore minerario e elaborazione, secondo l’indice di consumo di elettricità di Cambridge Bitcoin.
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Il giro di vite del governo cinese ha prodotto il crollo sia del prezzo di Bitcoin sia del tasso di hash globale. Così, mentre molti miners sono fuggiti dal paese, altri hanno preferito rimanere in patria, continuando però nella loro attività, passando a token meno conosciuti e tecnologie di archiviazione decentralizzate. Secondo indiscrezioni provenienti sempre da Bloomberg molti miners sono passati regolarmente a nuove strutture per ospitare le proprie attrezzature, non più di 100 macchine in una determinata posizione per attingere quell’energie necessaria per “produrre” bitcoin. Nella provincia settentrionale dell’Hebei, che rappresenta una piccola quota del settore, le agenzie locali hanno richiesto alle aziende e alle istituzioni di evitare l’estrazione di criptovalute con i loro sistemi informatici, chiedendo un controllo di autoconformità prima del 30 settembre.
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Una massiccia espansione del mining di criptovalute “inciderebbe seriamente sullo sviluppo economico e sociale e minaccerebbe direttamente la sicurezza nazionale”, ha affermato il regolatore di Internet locale, sempre a Bloomberg, aggiungendo che il consumo energetico coinvolto nel mining non è in linea con la politica di riduzione delle emissioni del paese. “Il trading di criptovalute sconvolge l’ordine finanziario”, ha aggiunto. Il governo avvierà un meccanismo per monitorare e seguire regolarmente le attività informatiche, i funzionari responsabili dei sistemi di dati in cui viene rilevata l’estrazione irregolare saranno puniti e le relative connessioni Internet verranno interrotte. Pechino non si ferma proprio, è fatta così.
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