Il 75% dei datori di lavoro, soprattutto in America, ormai si affida a programmi in grado di scansionare da soli i vari curriculum ricevuti per il reclutamento di nuovo personale da loro richiesto. L’adozione di filtri sempre più rigidi però sta escludendo un numero importante di persone idonee, rendendo così la disoccupazione un fenomeno in crescita.
Candidarsi per una posizione lavorativa ed essere rifiutati, fa male. Di solito si cerca di prenderla al meglio possibile, ma in cuor nostro sappiamo quanto bruci tutto ciò. Se poi si è stati rifiutati erroneamente, a causa di un software, ancora peggio. È quanto accade negli Stati Uniti, ma anche in altre parti del mondo tra cui anche l’Italia, secondo uno studio pubblicato dalla Harvard Business School. Gli autori dell’articolo, sostengono dopo una lunga ricerca, che milioni di validi candidati siano costantemente rifiutati, perché la fase di scrematura dei curricula è gestita da dei software che scansionano i cv ricevuti. Se non si trovano compatibilità con i rigidi filtri all’interno, anche se si è più che qualificati per il lavoro, entra in gioco il rifiuto. Nel report che sta portando a galla questo fallimento della società, vengono citati altri fattori che impediscono alle persone che fanno richiesta, l’entrata nel mondo del lavoro, tuttavia l’adozione di software di assunzione automatizzati è uno dei principali problemi.Penate che stiamo esagerando? Eccovi un esempio: basti anche solo notare che questi programmi specifici sono utilizzati dal 75% dei datori di lavoro e che nelle aziende Fortune 500 la percentuale sale fino al 99%. Siamo ancora noi i catastrofici?
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Che cosa c’è di sbagliato in questo sistema di selezione?
I meccanismi di selezione tramite cui vengono respinti migliaia di candidati più che qualificati sono svariati, ma il problema di fondo è uno: lo studio sostiene che questi software siano molto specifici, forse anche troppo, per usare dei criteri troppo semplicistici per dividere i candidati ottimali da quelli fuori contesto. Se si vuole fare un esempio più pratico, nello studio viene riportato che, in fase di selezione, alcuni di questi programmi boccino i candidati anche solo se nella loro storia lavorativa è presente un buco di sei mesi. Sei mesi. Se ci si pensa, è assurdo che questo particolare vieti di essere selezionati per un lavoro per la quale si è più che qualificati. In quei 6 mesi può essere successo di ogni alla persona, e non sta al software valutarne la carriera lavorativa in base a questo.
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Il mercato globale delle tecnologie di reclutamento è cresciuto molto negli ultimi anni, arrivando nel 2017, fino a 1,75 miliardi di dollari e si prevede che raddoppierà, fino a raggiungere i 3,1 miliardi di dollari, entro il 2025. Quini, questa situazione se si mantiene questo filo di penserò, andrà solo a peggiorare. C’è però un aspetto positivo: quasi 9 dirigenti su 10 sono consapevoli che i software rifiutino erroneamente candidati validi e stanno recando una strada alternativa. Si potrebbe tornare ai recruiter? Potrebbe essere un’idea. Basta che non abbiano sei mesi di buco sul CV…