Durante la pandemia si è diffusa la tendenza a lavorare da casa, inizialmente per necessità, poi con la convinzione che lo smart working rendesse più produttivi e motivati i dipendenti. Ma un recente studio sull’argomento ha mostrato un’altra faccia della medaglia…
Dallo studio condotto dalla professoressa Allison Gabriel dell’Università dell’Arizona, infatti, è emersa una forte correlazione tra lo stress e la produttività e l’obbligo dei dipendenti di partecipare a videoconferenze (in Zoom principalmente) con la videocamera accesa. La chiamano stanchezza da Zoom, ed è reale.
Lo studio è stato condotto mediante l’analisi di un campione di 103 dipendenti dell’azienda americana BroadPath, che si occupa di soluzioni per l’assistenza sanitaria. L’osservazione mantenuta per 4 settimane ha avuto un risultato incredibile, che va contro la convinzione secondo cui lavorare collegati in video tramite webcam rende le persone più attive e produttive.
Secondo i risultati della ricerca, stare davanti a una telecamera rischia di stressare di più, soprattutto quando si tratta di donne e neo assunti. Per quanto riguarda le donne, il problema sembra essere la gestione del menage familiare e la paura di veder apparire in video, improvvisamente, i figli urlanti.
Per quanto riguarda invece i neo assunti, sembra che per cercare di fare bella impressione sul capo e sugli altri colleghi, si tenda a a cercare di fare bella figura a detrimento della reale produttività. Insomma, la telecamera mette in imbarazzo un po’ tutti, andando a minare la qualità del lavoro svolto.
Bocciato dunque l’obbligo di lavorare da casa con una telecamera puntata addosso, poterla tenere spenta secondo lo studio (che è stato pubblicato sulla rivista di Applied Psychology) aiuterebbe i dipendenti a essere più concentrate sull’attività lavorativa e renderebbe più semplice gli interventi in video conferenza.
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«Si è sempre creduto che se hai la videocamera accesa durante le riunioni sarai più partecipe. Ma c’è anche molta pressione sull’auto-presentazione associata all’essere davanti alla cam – ha spiegato la professoressa Allison Gabriel – Quando le persone avevano le videocamere accese o gli veniva detto di tenerle accese, riportavano più affaticamento rispetto a chi non la usava. E quella fatica era correlata a meno voce e un minor coinvolgimento nelle riunioni».
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Quindi bando alle videoconferenze in video aperto per chi prova vergogna a mostrarsi e via alla possibilità di partecipare solamente in voce, in modo tale da permettere anche ai dipendenti più timidi di essere produttivi e allo stesso tempo di essere partecipativi nelle riunioni.
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