Nissan ha pensato fuori dagli schemi e ha trovato uno stratagemma per recuperare le terre rare dai motori delle automobili elettriche, proprio durante la carestia dei chip. L’azienda ci sta lavorando dal 2017 e conta di metterlo in commercio intorno al 2025.
I chip non bastano. A causa della mancanza di materia prima, il silicio con cui vengono creati, molti chip madre arriveranno in ritardo rispetto alla tabella di marcia. Basti pensare al ritardo per le PlayStation 5 e alla loro vendita a singhiozzi, proprio a causa di questi chip, che purtroppo stanno coprendo anche alcune concessionarie d’automobili importanti. Nissan Motor e la Waseda University di Tokyo hanno quindi unito le forze per ideare un processo di riciclo continuo, il tutto per recuperare, o almeno provarci, appieno i “composti di terre rare” dai magneti dei motori elettrici. Ecco perchè questa è una buona idea: in pratica si crea la materia prima da sistemi già in circolazione senza ricercarne una nuova. I test hanno preso il via in Giappone e, se andranno buon fine, il processo sarà applicato concretamente entro il 2025.
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Nissan ha deciso di collaborare con la Waseda University solo nel 2017, quando ancora trovare i chip non era così dispendioso, proprio per una scelta non solo più “Eco” ma anche più veloce nella creazione del chip madre e, nel marzo dello scorso anno, questa collaborazione ha portato ad un processo di pirometallurgia che non richiede il disassemblaggio del motore, come riportano alcuni siti. L’azienda ne ha parlato in un video su YouTube dove illustra un processo, che vi mostriamo qui sotto:
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Il video mostra i 5 passaggi chiave per recuperare abbastanza materiale da creare nuovi chip da inserire nelle automobili elettriche, considerate da molti il futuro eco sostenibile del mondo dei motori. Tutto questo processo, sempre secondo Nissan, può recuperare il 98% delle terre rare, che è un’ottima percentuale e potrebbe portare alla creazione continua di questi chip ora introvabili, riducendo il tempo di recupero della materia utilizzabile di circa il 50% rispetto al metodo attuale tutt’ora usato perché non è necessario smagnetizzare i magneti, rimuoverli o disassemblarli.
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