Allarme dagli esperti: i Big Data sono i protagonisti dopo il caso del vescovo USA tracciato.
Siamo ormai consapevoli che i nostri dati, raccolti quotidianamente da applicazioni, siti e qualsivoglia accesso ad internet, sono il nuovo “oro nero” del ventunesimo secolo. I cosiddetti Big Data, su cui vertono i più grandi big del mondo tech, sono oggi protagonisti di una riflessione che vede dal centro il Washington Post.
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Big Data: il caso del vescovo gay mette in allarme il mondo
Alcuni esperti, intervenuti sul famoso giornale statunitense, parlano del caso Jeffrey Burrill. Vescovo americano costretto a dimettersi dopo che un giornale ha scoperto le sue frequentazioni presso alcuni bar gay. Alla base i dati teoricamente anonimi di una applicazione, che avrebbero incastrato Burrill e costretto quest’ultimo alla gogna mediatica nonché alla dimissioni dal suo ruolo religioso.
“È la prima volta, che io sappia, che un’entità giornalistica traccia una specifica persona e usa le informazioni raccolte come arma – a parlarne Bennett Cyphers, della Electronic Frontier Foundation, attiva sui diritti digitali. Si commenta così la nuova “arma” che alcuni giornali starebbero con sempre maggiore frequenza adottando per “incastrare” poveri ignari.
“Questo è esattamente il tipo di minaccia alla privacy che abbiamo descritto per anni“. Le informazioni che alcune app raccolgono passano dall’età al sesso, fino agli spostamenti raccolti tramite GPS, abitudini nell’utilizzo del browser e tanto altro. Dati che poi vengono prontamente messi in vendita a terzi, per utilizzarli come veicolo per messaggi pubblicitari mirati, indagini di marketing o ricerche.
Informazioni sensibili come il nome vengono in linea teorica cancellate, ma nel 2013 una ricerca metteva in chiaro come fosse possibile risalire a nome e cognome incrociando quelli che non vengono eliminati (sesso, età e codice di avviamento postale).
“I consumatori non hanno molti strumenti per difendersi – ha detto Serge Egelman dell’International Computer Science Institute -. Una volta che i dati lasciano il dispositivo non c’è modo di sapere che cosa succederà, chi li riceverà. Non c’è nessuna consapevolezza di come verranno usati“.