Gli italiani sono divisi sull’argomento, secondo le ultime analisi molti di noi ne farebbero volentieri a meno.
La tecnologia, ovvero l’insieme di quelle amate novità introdotte dal progresso che in molti casi ha migliorato significativamente la qualità delle nostre vite, per altri aspetti invece le ha notevolmente abbrutite. Dove si cela allora la verità? Come al solito nel mezzo: stando ad un recente rapporto difatti circa il sessanta percento degli italiani conviene sull’ enorme utilità dell’uso di mezzi sofisticati se applicati con rigore a formazione e lavoro, a beneficio peraltro dell’impatto ambientale. Ma il rovescio della medaglia è inquietante: il 65% dei nostri connazionali difatti vede invece nello sviluppo tecnologico una drammatica fonte di ineguaglianze.
Il rapporto è stato stilato dal Digital Trasformation Institute in riferimento ad attività come smart working e didattica a distanza: non tutto è oro quel che luccica, e scarse competenze digitali, mancanza di cultura sull’argomento unite per di più ad una certa diffidenza non fanno che acuire un clima di incertezza che nella maggior parte dei casi finisce poi per degenerare in perdita del lavoro ed ingiustizia sociale.
Quando la tecnologia è indispensabile e quando è meglio evitarla: ecco la sottile linea di confine
Tecnologia e sostenibilità, telelavoro e dad, pandemia e normalità sono dei concetti da chiarire e oggi sempre più labili, che tendono a scontrarsi e confondersi in una irrisolta accozzaglia di idee. Idee non sempre precise in merito, ma quali sono esattamente quelle degli italiani? Gli ostacoli di base sono tanti, e smart working spesso non fa rima con smart living anche se gli adepti del lavoro agile sono ben il 55 percento: il problema è che se andiamo a scremare questi numeri si scopre gli “esperti digitali” da remoto si riducono drasticamente al 22 percento.
Insomma, l’aumento costante della frequenza d’uso di questi strumenti non sembra crescere in maniera direttamente proporzionale all’istruzione tecnologica della gente, che in molti casi li adopera solo perché in qualche modo costretta e se potesse scegliere ne farebbe volentieri a meno. In altre parole, molti vedono nella macchina un indubbio supporto all’attività umana, ma mai il sostituto completo ed anzi una minaccia.
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Il Presidente della Fondazione Digital Transformation Institute Stefano Epifani prova a spiegare come “nel periodo in cui stiamo vivendo gli strumenti digitali sono diventati sì centrali per moltissime attività quotidiane, ma si traducono in un fattore di sostanziale esclusione sociale con conseguenze negative tangibili in termini di sostenibilità, tema verso il quale poi l’attenzione è bassissima”.
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Al di là di ogni posizione ideologica esistono dei punti comuni di accordo, ad esempio tornare ad una normalità lavorativa e di studio non appena finita la pandemia. Il 76% degli utenti ritengono cambiamenti climatici ed inquinamento problemi di importanza prioritaria: in questo senso il telelavoro produce effetti benefici sull’ambiente, il guaio è che allo stesso tempo producono un terribile scadimento nel rapporto tra vita sociale e carriera dove le donne sembrano accusare il colpo molto più degli uomini. Questo il lato oscuro e l’ingiustizia principale che occorrerà assolutamente limare, ma per farlo attendiamo che si esca definitivamente dall’emergenza Covid e le nostre abitudini tornino all’agognata “normalità”.