L’approccio di Google alla privacy di Android è messo a dura prova a seguito delle rivelazioni della causa antitrust dell’Arizona sul monitoraggio degli smartphone. Come riportato da Insider, i documenti redatti suggeriscono che il colosso di Mountain View ha reso più difficile trovare le impostazioni sulla privacy di Android.
Quando ha testato le versioni del sistema operativo che hanno mostrato le funzionalità della privacy, secondo quanto riferito, ha notato un maggiore un “problema” nell’utilizzo di tali funzionalità, per questo le avrebbe inserite ancora più in profondità nel sistema di menu.
Google, le pensanti accuse dell’antitrust sulla privacy operante su Android
I nuovi documenti non redatti in una causa contro Google, inoltre, rivelano che i dirigenti e gli ingegneri dell’azienda sapevano quanto fosse difficile per gli utenti di smartphone mantenere privati i propri dati sulla posizione.
LEGGI ANCHE >>> Intel ci porta nel futuro con i suoi nuovi processori di undicesima generazione
Google avrebbe continuato a raccogliere dati sulla posizione anche quando gli utenti hanno disattivato le varie impostazioni di condivisione della posizione, rendendo più difficili da trovare le impostazioni sulla privacy.
LEGGI ANCHE >>> Poparazzi social rivoluzionario: niente selfie, solo foto scattate da amici
Un altro capo d’accusa a Google, sarebbero addirittura le pressioni di Bog G su LG e altri produttori di smartphone per nascondere le impostazioni in maniera tale che gli utenti facessero ancora più difficoltà nel trovarle.
Secondo i documenti dell’antitrust, Jack Menzel, un ex vicepresidente che supervisiona Google Maps, avrebbe ammesso durante una deposizione che l’unico modo in cui Google non sarebbe in grado di capire la casa e il luogo di lavoro di un utente è se quella persona avesse intenzionalmente buttato fuori Google dal percorso relativo al raggiungimento delle impostazioni sulla privacy.
Secondo i documenti americani, Jen Chai, un senior product manager di Google responsabile dei servizi di localizzazione, non sapeva perfino come la complessa rete di impostazioni sulla privacy dell’azienda interagisse tra loro.
Bocche cucite, finora, in casa Google e anche LG al riguardo: nessuna nota ufficiale sulle accuse dell’antitrust dell’Arizona. I documenti fanno parte di una causa intentata contro Google dall’ufficio del procuratore generale lo scorso anno, che ha accusato la società di raccogliere illegalmente i dati sulla posizione dagli utenti di smartphone.
La scorsa settimana, però, un giudice statunitense avrebbe ordinato che nuove sezioni dei documenti non fossero redatte in risposta a una richiesta dei gruppi commerciali Digital Content Next e News Media Alliance, che sostenevano che era nell’interesse del pubblico sapere e che Google stava solo usando le sue risorse legali per evitre il controllo delle sue pratiche di raccolta dei dati.
Le versioni non sigillate dei documenti dipingono un’immagine ancora più dettagliata di come Google avrebbe oscurato le sue tecniche di raccolta dati, confondendo non solo i suoi utenti ma anche i propri dipendenti.
Utilizzerebbe molti modi per raccogliere dati sulla posizione degli utenti, incluse WiFi e persino app di terze parti (non affiliate a Google) costringendo gli utenti a condividere i propri dati per utilizzare tali app o, in alcuni casi, persino connettersi i loro smartphone al WiFi.
Insider riporta alcune indiscrezioni: “Quindi non c’è modo di fornire a un’app di terze parti la tua posizione e non Google?” avrebbe detto un dipendente, sempre secondo i documenti, aggiungendo: “Questo non suona come qualcosa che vorremmo in prima pagina”.
Quando Google ha testato le versioni del suo sistema operativo Android che hanno reso più facile trovare le impostazioni sulla privacy, a quel punto avrebbe visto il problema, risolvendolo col seppellimento del percorso per arrivare alle impostazioni sulla privacy.
“False dichiarazioni attive e/o occultamento, soppressione o omissione di fatti” le altre pesanti accuse al colosso di Mountain View.