Ci sono tante persone nel mondo che rimangono immuni al covid nonostante il contatto concreto con famigliari, amici o conoscenti che si sono infettati. Come è possibile che una persona non contragga l’infezione nonostante abbia ricevuto “particelle di virus”?
Ha cercato di dare una risposta a questo dilemma, un nostro connazionale, lo stimato genetista italiano Giuseppe Novelli, direttore del Laboratorio di Genetica Medica dell’Università di Roma Tor Vergata, che ha realizzato uno studio in collaborazione con ben 250 laboratori mondiali coordinati dalla Rockefeller University di New York. La risposta si trova nel nostro campione genetico, il nostro Dna, come ha appunto spiegato Novelli: “Grazie alle moderne tecniche di sequenziamento – le sue parole riportate dal sito del Corriere dello Sport – è possibile leggere la nostra “libreria genetica” lettera per lettera ed individuare varianti del DNA che possano conferire questa particolare immunità alle infezioni”.
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Analizzando questa particolare libreria si è appunto scoperto (ipotesi comunque ancora al vaglio e da certificare), che un malfunzionamento genetico potrebbe rendere alcuni individui immuni al covid; in che modo? Sarebbero predisposti a produrre dell’interferone in più, di conseguenza, sarebbero in grado di non farsi infettare. “Gli interferoni di tipo I e III – ha proseguito Giuseppe Novelli – sono le molecole chiave della risposta immunitaria. Quando le nostre cellule entrano in contatto con un virus, si attivano dei meccanismi di allerta che portano alla produzione di interferone che funge da “molecola segnale”, si lega specifici recettori cellulari ed è in grado di attivare la risposta antivirale. Questo avviene principalmente grazie a geni specifici, i cosiddetti ISGs (Interferon Stimulated Genes)”.
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Lo studio realizzato dal genetista italiano, oltre a cercare di capire perchè alcune persone non si infettano, ha anche l’obiettivo di sviluppare farmaci monoclonali e antivirali che siano efficaci contro il coronavirus, di modo cioè da curare lo stesso senza ricorrere al vaccino, così come si fa ad esempio con l’influenza o il raffreddore: “Identificare con precisione i meccanismi di resistenza – ha aggiunto e concluso Novelli – permetterebbe di aprire l’orizzonte a nuove strategie terapeutiche”. Rimaniamo quindi in attesa dei prossimi sviluppi di questo studio molto interessante oltre che in parte italiano, quindi orgoglio del nostro Paese.
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