Facebook contro l’Australia e il disegno di legge che gli impone di pagare i media per la condivisione delle news. Il black-out indiscriminato colpisce ben oltre. Un portavoce del social: “Riapriremo le pagine censurate inavvertitamente”. Intanto Google decide di pagare.
Muro contro muro tra Facebook e il Governo Australiano, che vuole imporre ai colossi di BigTech di pagare le testate giornalistiche in cambio delle news condivise sulle loro piattaforma. Il social di Zuckenberg blocca come annunciato la condivisione dei media australiani, ma spara nel mucchio e finisce per colpire servizi di primaria importanza come istituzioni governative, sanitarie, forze dell’ordine ed altre pagine utilizzate per comunicare tempestivamente allarmi ed emergenze alla popolazione.
Quella di Facebook è una risposta al disegno di legge al vaglio del Senato australiano e che chiede a piattaforme di news-sharing come FB e Google di riconoscere un compenso al settore dell’editoria, in grave crisi proprio da quando i cittadini hanno avuto accesso all’informazione sul web. Già di per sé grave, il black-out è addirittura pericoloso proprio perché sono stati imbavagliati siti di rilievo pubblico. Addirittura sindacati e charity sono finite nel calderone. Una situazione tutt’altro che ideale.
Sebbene Facebook abbia fatto sapere che ripristinerà quanto prima le pagine bannate inavvertitamente, l’Australia è sdegnata. I lettori – circa 17 milioni ogni mese – non possono aprire né le news locali, né quelle internazionali, mentre per i cittadini australiani che si trovano all’estero sono sempre i media nazionali a non essere raggiungibili. Gli editori non possono ovviamente postare contenuti.
Come c’era da aspettarsi, la reazione del primo ministro Scott Morrison non è stata tenera. Proprio con un post su Facebook, il premier ha definito “arroganti” le misure adottate: “Sempre più paesi sono preoccupati per il comportamento dei colossi di BigTech, che pensano di essere al di sopra dei Governi e che per loro le leggi non contino”. Parole durissime.
E dire che il ministro del Tesoro, Josh Frydenberg, era reduce da un colloquio definito “costruttivo” con il ceo e founder di Google, Mark Zuckerberg. Al contrario, Facebook resta trincerato dietro al suo no al disegno di legge e non ha intenzione di pagare per contenuti che “non preleva e non chiede” ai giornali. Anzi, i social concedono ai siti di informazione una visibilità impossibile altrimenti.
Di senso opposto la presa di posizione del Governo australiano, che sta creando molti proseliti all’estero. Secondo il legislatore, Facebook, Google e gli altri BigTech che monetizzano le news devono spartire i ricavi con l’industria dell’informazione. Sono loro infatti a catalizzare tutti gli introiti pubblicitari sul piano globale. Google detiene il 47% del mercato e Facebook il 21%. Market share accumulate a discapito dell’editoria tradizionale, che infatti naviga in pessime acque sotto il profilo finanziario.
Ironia della sorte, i colossi digitali sono in grado di fornire agli inserzionisti pubblicitari dei profili consumatore molto precisi grazie ai dati che raccolgono sugli utenti, incluso il tipo di news che ritengono più interessanti. Ovviamente questo consente a un’azienda di ideare delle campagne di marketing mirate, ottimizzando la spesa. Va da sé che la scelta delle notizie da parte dei consumatori rappresenta un ulteriore dato “sensibile” che arricchisce i profili che Google, Facebook e compagnia cedono alle aziende.
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Per questo l’autorità nazionale Antitrust (ACCC) ritiene che le piattaforme digitali debbano negoziare un compenso direttamente con gli editori, e che se non si trova un accordo entro tre mesi di trattative, toccherà poi a un arbitro esterno valutare un giusto prezzo.
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Difficile pensare che Facebook mantenga il punto. A lungo andare, infatti, si darebbe la zappa sui piedi. Le testate giornalistiche, piaccia o no, rappresentano comunque un argine alle fake news. Senza media, i contenuti inaffidabili aumentano la loro presenza specifica sui social, a detrimento della credibilità delle stesse piattaforme. Probabilmente è anche per questo che invece Google ha deciso di negoziare un pagamento con la News Corp di Rupert Murdoch, editore fra gli altri di The Australian, Sky News Australia, New.com.au. Un patto fra giganti che potrebbe fare scuola.
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