UK Space Agency e Rolls Royce Defence uniscono le forze, e mettono a lavoro un nutrito gruppo di scienziati per esplorare le potenzialità dell’energia nuclerare? Finalità comune: favorire i viaggi nell’iperspazio entro un decennio.
Tra le aree di studio quella sulla propulsione nucleare: si cercherà di canalizzare l’energia rilasciata dalla scissione dell’atomo per accelerare i propellenti come l’idrogeno fino a velocità mai viste prima. Secondo i professionisti coinvolti nella ricerca, la propulsione nucleare è il futuro dei viaggi spaziali. E’ opinione comune infatti che un motore a propulsione nucleare sia doppiamente efficace rispetto a quelli chimici usati oggi per i razzi spaziali. Ciò significa, secondo gli scienziati, che con un motore a propulsione nucleare potremo andare e tornare da Marte in 3 o 4 mesi al massimo.
Missioni spaziali più veloci con la propulsione nucleare
Secondo la ministra britannica alla scienza, Amanda Solloway, l’energia nucleare rappresenta una possibilità di grande trasformazione dell’esplorazione spaziale. Secondo la Solloway, lo studio condotto con la Rolls Royce potrebbe permettere alla prossima generazione di astronauti di prendere parte a missioni più lunghe, ma allo stesso tempo più veloci. Questo perché la velocità del viaggio, ridotta grazie ai nuovi propulsori, renderebbe più lungo il tempo da poter trascorrere in orbita. Senza dover allungare i tempi assoluti della missione.
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Il dottor Graham Turnock, CEO della UK Space Agency, ha aggiunto la sua dicendo che “la propulsione ad energia nucleare ha un enorme potenziale: dare finalmente il via a missioni nello spazio profondo, dove il pianeta Marte sarebbe solo il punto di partenza”.
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Il vantaggio di sfruttare la propulsione nucleare nelle missioni spaziali sarebbe duplice. In primis, la riduzione drastica dei tempi delle missioni stesse, che durerebbero decisamente meno. E di conseguenza farebbero risparmiare milioni di sterline all’agenzia spaziale di Sua Maestà la Regina. Ultimo ma non secondario, gli astronauti sarebbero esposti a una quantità di radiazioni molto inferiore a quella cui sono sottoposti ora.
Il tema dell’esposizione alle radiazioni degli astronauti una volta arrivati nell’iperspazio, è una spina nel fianco del governo britannico. E’ chiaro che, con missioni più lunghe, l’esposizione aumenta di conseguenza. Mentre, restando minor tempo in orbita e oltre, ovviamente le radiazioni si riducono.