Gli sviluppatori potrebbero aggirare con metodi non consentiti ma difficili da identificare il blocco dell’identità pubblicitaria – Idfa – reso obbligatorio da Apple.
Mentre Apple sta per rendere obbligatoria la possibilità per gli utenti di revocare il permesso di tracciamento alle App, gli sviluppatori delle App stanno studiando metodi che aggirino l’eventuale blocco. L’obiettivo è incamerare dati preziosi per la creazione del profilo dei consumatori, o Idfa, da rivendere poi ad aziende terze a scopi pubblicitari. Ma andiamo con ordine.
Com’è ormai arcinoto a tutti, il nostro comportamento di consumatori viene tracciato dai siti Internet che frequentiamo e dalle app di cui facciamo uso, allo scopo di creare un profilo utente a cui inviare pubblicità personalizzata. Questo profilo è il cosiddetto IDFA – identity for advertisers – e viene venduto sotto varie forme e accordi agli inserzionisti.
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Ora, però, Apple ha deciso di dare ai suoi utenti la chance di esaminare quali dati vengono raccolti e, nel caso, revocare il permesso al tracciamento del proprio consumer behaviour e alla conseguente creazione dell’Idfa. Una iattura bella e buona per chi guadagna vendendo quei dati. Basti pensare a una piattaforma come Facebook Ads Manager, che consente a un business qualsiasi di concentrare il proprio budget pubblicitario verso un target il più specifico possibile, con una dispersione delle risorse enormemente ridotta rispetto a uno spot pubblicitario sparato in prima serata tv o peggio ancora un manifesto ai bordi della strada.
E infatti aziende come Facebook o Snapchat, il cui core business è praticamente la cessione delle Idfa agli inserzionisti, hanno energicamente protestato contro la mossa di Apple, che dovrebbe entrare in vigore nel giro di qualche settimana, ossia quando i developers avranno adeguato le loro app alla nuova regola. Nelle prossime settimane dunque l’utente riceverà un messaggio simile a quello che oggi ci chiede di accordare a un sito il permesso di scaricare i cookies di tracciamento sul nostro computer, tablet o smartphone.
Per assicurarsi lo stesso questi dati, gli sviluppatori potrebbero tracciare il comportamento del consumatore tramite il device fingerprinting, ossia seguendo l’impronta digitale dell’apparecchio che utilizziamo, che sistema operativo monta, l’indirizzo IP, che browser, quali impostazioni, la risoluzione dello schermo e ogni altra informazione che possa contribuire a costruire un’identità digitale all’insaputa dell’utente. Si tratta di metodi vietati ma assai difficili da scoprire. Perciò molte aziende sarebbero pronte ad assumersi il rischio.
Secondo chi protesta, il blocco dell’Idfa da parte di Apple potrebbe cambiare per sempre Internet, costringendo i produttori a far pagare risorse e contenuti di ogni tipo che attualmente sono gratis, proprio perché finanziati tramite la pubblicità. In effetti il pericolo esiste, visto che il provvedimento di Apple determinerebbe un netto calo degli introiti per moltissime aziende, e non solo di colossi come Facebook, Snapchat, Twitter o un motore di ricerca come Google. La casa di Cupertino, dal canto suo, sta affermando la libertà di scelta dei propri clienti.
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Entrambi gli aspetti sono tra i lati virtuosi di internet: da una parte la libera circolazione delle risorse, la comunicazione, la condivisione dell’informazione, della cultura, dell’istruzione; dall’altra la libertà dell’individuo di decidere se sottostare o meno a una continua “radiografia” in nome del mercato.
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