Strapotere Big Tech verso la fine? L’Ue pronta a fissare paletti rigidissimi

Big Tech (Foto agendadigitale.eu)

L’Unione Europea sta cercando di regolarizzare il digitale, andando in particolare a colpire le Big Tech, le grandi aziende tecnologiche d’oltre oceano, che da anni vengono accusate di pratiche sleali nei confronti della concorrenza. E così che nelle ultime ore, come riferisce l’agenzia Ansa, Margrethe Vestager, vicepresidente della Commissione Ue, Thierry Breton, il commissario Ue per il Mercato interno co-firmatario della proposta, hanno presentato il loro piano d’azione che entrerà ufficialmente in vigore nei prossimi anni (anche se una data certa non c’è). Il pacchetto di nuove norme è sostanzialmente diviso in due grandi pilastri, a cominciare dal Dsa, il Digital Services Act, ovvero, una richiesta alle società di assumersi maggiore responsabilità in merito alla moderazione dei contenuti circolanti sui loro siti, e soprattutto, ad intervenire il prima possibile per rimuovere materiale illegale, pena multe fino al 6% delle loro entrate annuali.

Big Tech (Foto blitzquotidiano.it)

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L’altro pilastro è invece il Dma, il Digital Markets Act, che introduce nuove regole riguardanti la concorrenza: chi la violerà potrà incorrere in una multa fino al 10% dei ricavi globali. Inoltre, come scrive l’agenzia Ansa: “se recidive, l’Ue si muoverà per separare strutturalmente le loro attività”. Ovviamente tale novità regolamentari hanno fatto “saltare sulla sedia” i grandi colossi tecnologici, a cominciare da Google, con Big G che si è detta “preoccupata”. Nel contempo, sono in corso altre misure che vanno a colpire le multinazionali tech, e proprio ieri in Irlanda il Garante per la protezione dei dati ha sanzionato Twitter con 564mila dollari, mentre negli Stati Uniti la Ftc, la Federal Trade Commission, ha chiesto a nove Big Tech di fornire maggiori informazioni sul modo con cui raccolgono i dati degli utenti e il loro utilizzo. L’iter per l’approvazione delle nuove norme resta comunque molto lungo, si parla di un minimo di due anni ma forse anche di più, e le grandi aziende d’oltre oceano sarebbero già pronte ad azioni di lobbying per non far passare le leggi.

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